Genda #4
Genda è una rivista di fotografia che esce una volta all’anno. Finora ne sono stati pubblicati quattro numeri, compresi il numero #0. La parola Genda, che dà il nome alla rivista, è una storpiatura della parola cinese scenta, che vuol dire “Davvero?”. Ha una doppia redazione, una in Italia ed una in Cina. La rivista ogni anno sceglie un numero pari di autori fra il panorama orientale e quello occidentale, tra autori noti, ed autori emergenti sconosciuti alle grandi masse. Le redazioni scelgono un tema e da quella traccia inizia una ricerca di contenuti che si intrecciano e si scontrano, si contaminano in un vedere comune fatto di opposti e analogie. Il viaggio che ne consegue è ammaliante e misterioso. In un dialogo continuo fatto di salite e discese, virate energiche ma mai improvvise, ci lasciamo cullare dall’andamento ondoso dei colori e delle immagini ambigue, a volte incomprese ma indispensabili come un punto alla fine di un interrogativo. Il tema scelto per il numero #3, il quarto, è Endless scenarios. Così con un’andatura orizzontale e uno sviluppo sincronico da sinistra verso destra ci addentriamo leggeri in questi spazi onirici e desolati, abitati dalla luce e meno frequentemente da persone. Ma la direzione non è segnata e così, esortati da domande in cerca di risposte, possiamo cambiare senso di marcia, tornare indietro da destra verso sinistra e laddove troviamo una discordanza, un suono fuori posto, una crepa accennata, un sipario appena aperto, ci infiliamo di soppiatto trasportati diacronicamente attraverso diorama inesplorati. Ne consegue un viaggio affascinante che mi ricorda il social dreaming di Gordon Lawrence, una tecnica psicoanalitica di gruppo in cui si cerca di capire, attraverso l’associazione dei sogni dei partecipanti, la realtà sociale da cui siamo avvolti e plasmati.
Genda non si legge, le poche parole che cercano di scoperchiare le possibili verità nascoste nel numero #3 sono in caratteri quasi lillipuziani in oro su fondo blu lavanda. Leggerle è un’impresa, ma l’eleganza che ne deriva è un regalo per gli occhi! Genda si sfiora, si assapora, si annusa. Un piacere toccarne la carta Crush lavander, solo in sé protagonista di una grande storia di economia circolare da non tralasciare e leggere sul sito di Favini.
Scenari senza fine dunque, ma direi anche senza inizio in cui perdersi come un’eco, propaggine ondosa di una voce infinita ma sempre più sottile ed evanescente. Sul filo sottile che unisce le varie opere, sempre in bilico tra l’entrare e l’uscire, lo scendere o il salire, si passeggia tra scenari lontani e vicini, e ci si chiede se esserne partecipi o semplicemente spettatori, in un gioco di alternanza e ricomposizioni. L’attore è il fotografo e, insieme alla sua opera, si muove nel suo scenario, inteso come canovaccio della commedia dell’arte, creandone l’azione, un fermarsi o un divenire. Si muove nel suo scenario interiore e Genda ce lo restituisce in uno nuovo, all’interno del quale noi spettatori/lettori facciamo da cassa di risonanza riversandoci il nostro. A questo punto lo scenario iniziale si trasforma, si deforma, prende strade infinite e i confini si dilatano.